Il dono di Giuliana - Silvano Bicocchi
Direttore del Dipartimento Cultura FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche)
In questa vivace conversazione, Giuliana Traverso ci racconta le vicende salienti della propria esperienza esistenziale prediligendo l’incontro confidenziale e creativo con un’altra donna artista: Vivetta Valacca poeta; in tal modo ci conferma il metodo col quale ha sempre cercato e costruito il senso della propria vita.
Lei appartiene a quella generazione di donne sempre attive nate tra le due guerre mondiali, come ad esempio Sunsan Sontag, che difficilmente sono disponibili a fermarsi per voltarsi indietro e guardare quel che hanno fatto nel proprio percorso artistico.
Il suo carattere intraprendente nell’essere parte attiva del proprio mondo di conoscenze e affetti, la spinge ancora oggi a forzare i limiti per realizzare nuovi progetti. Infatti anche quest’anno la scuola “Donna fotografa” ha aperto i battenti per la 46° volta, dato l’anno di avvio a Genova nel 1968 e giunta senza interruzioni sino ad oggi.
Un primato come questo meriterebbe considerazione da parte del mondo della cultura e dell’arte, perché devono esserci ragioni molto forti perché questa scuola privata sia stata frequentata, così assiduamente, da alcune migliaia di donne di tutte le età e provenienti da ogni regione italiana. Capire cosa si è compiuto in questa esperienza didattica e quindi saper riconoscere in futuro il patrimonio culturale da essa costruito, sarebbe uno studio molto importante per non disperderne i suoi valori peculiari.
Quest’anno non sono apparsi, per le città italiane, quei manifesti pubblicitari che mostravano una donna con la fotocamera all’occhio, in una posa professionale alla “Blow-up”. Quest’anno le lezioni si sono svolte, nella casa studio della Traverso, per 15 allieve con un esito splendido, perché il contatto personale tra la “Maestra” e le sue “Ragazze” è stato attento, intenso e penetrante nel cogliere da parte dell’insegnante ogni moto interiore delle allieve. La grande capacità d’ascolto della Traverso la rende giovane tra le giovani, e le sue ragazze la cercano per sciogliere anche i nodi delle loro vicende personali.
Questo libro raccoglie alcuni esempi del metodo esercitato da Giuliana Traverso. Nel leggerlo vi accorgerete quanto sia inusuale il suo essere la “Maestra”, rispetto ai modelli didattici italiani, e vi sarà spontaneo collocare questa scuola innovativa tra le storie leggendarie, e probabilmente irripetibili, del ‘900 italiano. Dai contenuti vi apparirà chiaro come le figure di fotografa e di docente, nella Traverso, siano state un’unica esperienza creativa, da lei condotta in quel modo spontaneo che caratterizza l’espressione di un proprio ”Innato”. Infatti è anche educando gli altri a scoprire la loro espressione soggettiva che lei ha evoluto la propria.
Fatalmente l’intreccio, tra la sua insopprimibile necessità interiore di realizzare il proprio Sé e la storia delle donne nel secolo scorso, ha prodotto la complessa trama esistenziale che costituisce la sua vita. Nel ‘900 le possibilità di realizzare le proprie intime aspirazioni, inevitabilmente presentano, alla donna occidentale, notevoli costi morali e materiali conseguenti al processo storico della ”Emancipazione femminile”.
In questo contesto la Traverso ha dovuto misurarsi con le attese della propria famiglia natale di ceto alto locato, il padre è magistrato, e con il primo matrimonio che, improntato ai costumi stereotipati del modello patriarcale, soggiogava le sue spinte interiori volte alla propria realizzazione. La scelta sofferta di rompere questo matrimonio, nel clima difficile di trasformazione dei costumi e dei valori morali dell’Italia alle prese con la Legge sul Divorzio (Fortuna - Baslini) approvata nel 1970, ha segnato fortemente il mondo di valori e di sentimenti della “donna moderna” che lei ha desiderato essere.
Il suo impersonare la donna emancipata e innovatrice degli anni ’60, ci spiega perché nel 1968 avvia “Donna fotografa”: una scuola di fotografia per sole donne. Questa scelta di rivolgersi solo alle donne è conseguente alla sua constatazione che solamente loro vivono una medesima dinamica di evoluzione psicologica e sociale. Lei è convinta che questo comune orientamento interiore è il presupposto necessario per cercare unite nuovi modi d’apprendere la fotografia, ponendo in primo piano la libertà espressiva della propria soggetività. Questa mentalità nell’insegnare la fotografia è in controtendenza rispetto alla cultura dominante dei fotografi dell’epoca, perché riduce il ruolo della tecnica a quello della grammatica necessaria ad esprimere il proprio sentito nel significante fotografico.
Con questa impostazione mentale, di intendere la fotografia, a Giuliana Traverso non è mai capitato di fotografare senza aver, prima d’inquadrare, un’idea in testa da realizzare. La conseguenza di ciò è stata, in lei, la maturazione di un processo creativo che antepone allo scatto l’ideazione di un’opera formata da più immagini. Questo non è all’epoca un fare arte molto diffuso, infatti nella produzione fotografica degli anni ’60 e ’70 primeggia la fotografia singola. Le pubblicazioni e le mostre, a parte alcuni pochi grandi autori, sono normalmente formate da immagini singole, scelte tra le migliori realizzate, senza preoccuparsi della coerenza tematica e poetica; semplicemente sono una serie di belle immagini da intendere una ad una.
In quegli anni inizia in Italia la vicenda dell’Arte Concettuale, una corrente artistica che, tout court, nell’Opera d’Arte toglie il primato alla Forma per attribuirlo al Concetto.
L’Arte Concettuale applicata alla fotografia fa maturare nei fotografi quell’idea di opera propria del mondo artistico: cioè una serie di immagini che intrattengono tra loro una tale coerenza tematica e poetica da renderle efficaci nel comunicare un’unica “Idea centrale”.
Scegliere di realizzare un’opera è per l’artista affrontare un’impresa, perché una volta scelto anche solo un titolo iniziale, egli ha già deciso l’orientamento del lavoro creativo da realizzare. La scelta del titolo distingue un autore dall’altro perché in esso emergono i suoi interessi e dove sta il suo cuore.
Ogni artista ha un proprio processo creativo, e spesso ogni opera ne richiede uno specifico per essere ben compiuta. Il tempo per realizzarla è un tratto di vita del fotografo nel quale si alternano le domande alle rivelazioni… le difficoltà alle creazioni.
L’opera è compiuta dunque in un lasso di tempo limitato in cui tutte le forze del fotografo sono concentrate verso l’approfondimento del tema e alla sua interpretazione secondo le intenzioni che il titolo annuncia. E’ pertanto un’esperienza di profondità nella quale egli acquisisce nuove conoscenze che evolvono la sua identità artistica. Infine nell’opera compiuta troviamo la forza e la fragilità dell’autore; in questi termini essa è un umanissimo atto d’amore che produce il segno concreto del proprio Sé.
In questa nuova stagione della fotografia i lavori della Traverso appaiono molto contemporanei e moderni, perché lei ha sempre lavorato a progetto.
Per Giuliana Traverso lavorare a progetto significa: una volta avuta l’idea del lavoro, passare immediatamente alla realizzazione per poi completarlo nell’arco di due o tre mesi. Quindi un tempo relativamente breve ma caratterizzato da grande concentrazione sull’opera che per lei deve sempre anche avere un’aura di unicità. Pur operando nel contesto italiano, il suo frequente viaggiare forma in lei un gusto estetico che risente dell’influenza dell’arte internazionale. Se confrontiamo i suoi lavori con quelli di due fotografi italiani, che all’epoca lavorano a progetto, come Mario Giacomelli e Luigi Ghirri, troviamo chiaramente le sue peculiarità.
Come Giacomelli, la Traverso affronta il dramma esistenziale dell’uomo ma senza quel trasporto lirico ed emozionale proprio del fotografo marchigiano, lei non resta medusata dall’incontro col dolore degli altri ma lo domina con una fotografia disincantata che cerca di rappresentare, similarmente allo stile di Susan Sontag, il volto della verità: ontologico, logico o morale che sia.
Come Ghirri, anche lei cerca di risolvere l’opera ideando immagini con un concept fotografico connaturale al tema affrontato. Ecco perché ogni sua opera si presenta con un’estetica diversa da quelle precedenti e spesso con immagini dallo stile innovatore che di sovente lo costruisce con quella energica libertà d’intervento creativo tipica di Giacomelli.
Evidentemente questo mutare nel tempo mostra il suo innato spirito di ricerca artistica che ci rivela il proprio misterioso e consapevole incedere nell’unicità del suo vastissimo mondo espressivo.
Direttore del Dipartimento Cultura FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche)
In questa vivace conversazione, Giuliana Traverso ci racconta le vicende salienti della propria esperienza esistenziale prediligendo l’incontro confidenziale e creativo con un’altra donna artista: Vivetta Valacca poeta; in tal modo ci conferma il metodo col quale ha sempre cercato e costruito il senso della propria vita.
Lei appartiene a quella generazione di donne sempre attive nate tra le due guerre mondiali, come ad esempio Sunsan Sontag, che difficilmente sono disponibili a fermarsi per voltarsi indietro e guardare quel che hanno fatto nel proprio percorso artistico.
Il suo carattere intraprendente nell’essere parte attiva del proprio mondo di conoscenze e affetti, la spinge ancora oggi a forzare i limiti per realizzare nuovi progetti. Infatti anche quest’anno la scuola “Donna fotografa” ha aperto i battenti per la 46° volta, dato l’anno di avvio a Genova nel 1968 e giunta senza interruzioni sino ad oggi.
Un primato come questo meriterebbe considerazione da parte del mondo della cultura e dell’arte, perché devono esserci ragioni molto forti perché questa scuola privata sia stata frequentata, così assiduamente, da alcune migliaia di donne di tutte le età e provenienti da ogni regione italiana. Capire cosa si è compiuto in questa esperienza didattica e quindi saper riconoscere in futuro il patrimonio culturale da essa costruito, sarebbe uno studio molto importante per non disperderne i suoi valori peculiari.
Quest’anno non sono apparsi, per le città italiane, quei manifesti pubblicitari che mostravano una donna con la fotocamera all’occhio, in una posa professionale alla “Blow-up”. Quest’anno le lezioni si sono svolte, nella casa studio della Traverso, per 15 allieve con un esito splendido, perché il contatto personale tra la “Maestra” e le sue “Ragazze” è stato attento, intenso e penetrante nel cogliere da parte dell’insegnante ogni moto interiore delle allieve. La grande capacità d’ascolto della Traverso la rende giovane tra le giovani, e le sue ragazze la cercano per sciogliere anche i nodi delle loro vicende personali.
Questo libro raccoglie alcuni esempi del metodo esercitato da Giuliana Traverso. Nel leggerlo vi accorgerete quanto sia inusuale il suo essere la “Maestra”, rispetto ai modelli didattici italiani, e vi sarà spontaneo collocare questa scuola innovativa tra le storie leggendarie, e probabilmente irripetibili, del ‘900 italiano. Dai contenuti vi apparirà chiaro come le figure di fotografa e di docente, nella Traverso, siano state un’unica esperienza creativa, da lei condotta in quel modo spontaneo che caratterizza l’espressione di un proprio ”Innato”. Infatti è anche educando gli altri a scoprire la loro espressione soggettiva che lei ha evoluto la propria.
Fatalmente l’intreccio, tra la sua insopprimibile necessità interiore di realizzare il proprio Sé e la storia delle donne nel secolo scorso, ha prodotto la complessa trama esistenziale che costituisce la sua vita. Nel ‘900 le possibilità di realizzare le proprie intime aspirazioni, inevitabilmente presentano, alla donna occidentale, notevoli costi morali e materiali conseguenti al processo storico della ”Emancipazione femminile”.
In questo contesto la Traverso ha dovuto misurarsi con le attese della propria famiglia natale di ceto alto locato, il padre è magistrato, e con il primo matrimonio che, improntato ai costumi stereotipati del modello patriarcale, soggiogava le sue spinte interiori volte alla propria realizzazione. La scelta sofferta di rompere questo matrimonio, nel clima difficile di trasformazione dei costumi e dei valori morali dell’Italia alle prese con la Legge sul Divorzio (Fortuna - Baslini) approvata nel 1970, ha segnato fortemente il mondo di valori e di sentimenti della “donna moderna” che lei ha desiderato essere.
Il suo impersonare la donna emancipata e innovatrice degli anni ’60, ci spiega perché nel 1968 avvia “Donna fotografa”: una scuola di fotografia per sole donne. Questa scelta di rivolgersi solo alle donne è conseguente alla sua constatazione che solamente loro vivono una medesima dinamica di evoluzione psicologica e sociale. Lei è convinta che questo comune orientamento interiore è il presupposto necessario per cercare unite nuovi modi d’apprendere la fotografia, ponendo in primo piano la libertà espressiva della propria soggetività. Questa mentalità nell’insegnare la fotografia è in controtendenza rispetto alla cultura dominante dei fotografi dell’epoca, perché riduce il ruolo della tecnica a quello della grammatica necessaria ad esprimere il proprio sentito nel significante fotografico.
Con questa impostazione mentale, di intendere la fotografia, a Giuliana Traverso non è mai capitato di fotografare senza aver, prima d’inquadrare, un’idea in testa da realizzare. La conseguenza di ciò è stata, in lei, la maturazione di un processo creativo che antepone allo scatto l’ideazione di un’opera formata da più immagini. Questo non è all’epoca un fare arte molto diffuso, infatti nella produzione fotografica degli anni ’60 e ’70 primeggia la fotografia singola. Le pubblicazioni e le mostre, a parte alcuni pochi grandi autori, sono normalmente formate da immagini singole, scelte tra le migliori realizzate, senza preoccuparsi della coerenza tematica e poetica; semplicemente sono una serie di belle immagini da intendere una ad una.
In quegli anni inizia in Italia la vicenda dell’Arte Concettuale, una corrente artistica che, tout court, nell’Opera d’Arte toglie il primato alla Forma per attribuirlo al Concetto.
L’Arte Concettuale applicata alla fotografia fa maturare nei fotografi quell’idea di opera propria del mondo artistico: cioè una serie di immagini che intrattengono tra loro una tale coerenza tematica e poetica da renderle efficaci nel comunicare un’unica “Idea centrale”.
Scegliere di realizzare un’opera è per l’artista affrontare un’impresa, perché una volta scelto anche solo un titolo iniziale, egli ha già deciso l’orientamento del lavoro creativo da realizzare. La scelta del titolo distingue un autore dall’altro perché in esso emergono i suoi interessi e dove sta il suo cuore.
Ogni artista ha un proprio processo creativo, e spesso ogni opera ne richiede uno specifico per essere ben compiuta. Il tempo per realizzarla è un tratto di vita del fotografo nel quale si alternano le domande alle rivelazioni… le difficoltà alle creazioni.
L’opera è compiuta dunque in un lasso di tempo limitato in cui tutte le forze del fotografo sono concentrate verso l’approfondimento del tema e alla sua interpretazione secondo le intenzioni che il titolo annuncia. E’ pertanto un’esperienza di profondità nella quale egli acquisisce nuove conoscenze che evolvono la sua identità artistica. Infine nell’opera compiuta troviamo la forza e la fragilità dell’autore; in questi termini essa è un umanissimo atto d’amore che produce il segno concreto del proprio Sé.
In questa nuova stagione della fotografia i lavori della Traverso appaiono molto contemporanei e moderni, perché lei ha sempre lavorato a progetto.
Per Giuliana Traverso lavorare a progetto significa: una volta avuta l’idea del lavoro, passare immediatamente alla realizzazione per poi completarlo nell’arco di due o tre mesi. Quindi un tempo relativamente breve ma caratterizzato da grande concentrazione sull’opera che per lei deve sempre anche avere un’aura di unicità. Pur operando nel contesto italiano, il suo frequente viaggiare forma in lei un gusto estetico che risente dell’influenza dell’arte internazionale. Se confrontiamo i suoi lavori con quelli di due fotografi italiani, che all’epoca lavorano a progetto, come Mario Giacomelli e Luigi Ghirri, troviamo chiaramente le sue peculiarità.
Come Giacomelli, la Traverso affronta il dramma esistenziale dell’uomo ma senza quel trasporto lirico ed emozionale proprio del fotografo marchigiano, lei non resta medusata dall’incontro col dolore degli altri ma lo domina con una fotografia disincantata che cerca di rappresentare, similarmente allo stile di Susan Sontag, il volto della verità: ontologico, logico o morale che sia.
Come Ghirri, anche lei cerca di risolvere l’opera ideando immagini con un concept fotografico connaturale al tema affrontato. Ecco perché ogni sua opera si presenta con un’estetica diversa da quelle precedenti e spesso con immagini dallo stile innovatore che di sovente lo costruisce con quella energica libertà d’intervento creativo tipica di Giacomelli.
Evidentemente questo mutare nel tempo mostra il suo innato spirito di ricerca artistica che ci rivela il proprio misterioso e consapevole incedere nell’unicità del suo vastissimo mondo espressivo.